Probabilmente sarà il fatto che ho iniziato a lavorare come consulente proprio nel periodo più critico, almeno degli ultimi 10 anni, per l’economia italiana, ma già dai primi incontri ogni cliente/imprenditore accentrava il colloquio sulla crisi che stava attraversando la sua impresa.
In questi colloqui cambiavano le cause per le quali la propria attività stava attraversando quello stato “anormale”, ma di comune vi era il fatto che quasi sempre si trattava di eventi esterni al loro controllo: normative assurde, competitors scorretti, banche traditrici, clienti troppo esigenti ed altro ancora.
Quindi le “crisi di impresa” sono imputabili agli imprenditori?
In alcuni casi si, in molti altri no. Intanto (sembra scontato, ma non lo è) sarebbe cosa buona e giusta, alle prime avvisaglie, utilizzando tutti gli strumenti disponibili all’interno e all’esterno dell’azienda, analizzare approfonditamente la situazione per verificare se si ha a che fare con una crisi insanabile o meno. In questo ultimo caso logica vorrebbe che la miglior soluzione rimane quella di condurre la società verso una chiusura che eviti l’irreparabile.
E in tutti gli altri casi?
Cosa fare quando invece diversi elementi dicono che ci potrebbero essere delle speranze? Ovvio che non vi è “la risposta” e probabilmente neanche un insieme di risposte utilizzabili in una matrice di casi possibili. Soprattutto in quelle che sono le PMI italiane si ha a che fare spesso con situazioni molto fluide. Questo anche perché l’elemento umano in realtà medio piccole è preponderante.
Non è mia intenzione elencare qui tutte le possibili variabili di soluzioni a crisi aziendali o comunque da me conosciute e vissute; quello su cui vorrei invece soffermarmi nelle prossime righe è lo spirito con cui vengono approcciate situazioni di difficoltà e poi crisi conclamate.
In generale un imprenditore appena diventa cosciente che la società sta affrontando una crisi corre ai ripari, direttamente o per mezzo dei consulenti, cercando di riportare la situazione al “prima”. Quello che ci si trova davanti è una sorta di assurdo automatismo; assurdo perché le stesse persone, o comunque qualcuno che le rappresenta, che anni prima hanno basato il loro successo sul rischio e l’innovazione adesso dimenticano tutto ciò e cercano la soluzione rimanendo conservativi.
Una nuova prospettiva sulla crisi può arrivare dall’esterno dell’azienda.
E’ proprio in questa fase che dei consulenti, quindi figure esterne all’attività quotidiana, possono dare un grande valore aggiunto. Lo possono dare strappando chi ha la governance dell’impresa dallo sguardo verso il già visto e vissuto (io me li immagino come concentrati con gli occhi su un muro che sperano possa spostarsi) e condurli in spazi, metaforicamente parlando, aperti.
Anche se intimorito dal farlo, penso che sia proprio il caso di scomodare Einstein che a proposito di crisi affermava: “è nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie”. Questa affermazione e altre come questa trovano conferma in tantissimi casi famosi e non, nel business e nella vita privata, in piccole aziende e in multinazionali. Ma nonostante ciò, a tutti, quindi anche agli imprenditori, viene difficile accettare che la “crisi” possa essere anche una opportunità. Un’opportunità per una nuova vita, per un nuovo settore imprenditoriale, una nuova strategia aziendale, un nuovo mercato, una nuova organizzazione dell’azienda, dei nuovi partners industriali e così via.
Concludendo, la sfida per i consulenti che si occupano di rilanciare aziende in crisi è proprio quella di accompagnare l’imprenditore, o il management dell’impresa, verso una apertura totale che permetta di ampliare al massimo la visione verso nuovi orizzonti imprenditoriali.